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La conobbe un anno fa.
Una mite mattina di una primavera che spalancava le porte all’amore era lo scenario che faceva da sfondo a quell’incantevole fanciulla. I primi cinguettii dei passeri, l’odore delle margherite in fiore si mescolava a quello di brioche appena sfornate, ogni sensazione che lui percepiva era amplificata dai sentimenti che provava in quel momento. La desiderava, voleva fosse sua. Solo sua.
La donna, una giovane ragazza di bell’aspetto e dai modi posati sedeva ad un piccolo, pittoresco tavolino da bar, e attendeva la sua colazione. Il primo particolare che lui notò fu l’unica imperfezione che rendeva umana quella musa, una deliziosa voglia a forma di mezza luna che le solcava la guancia destra, che ella porgeva ai suoi occhi con una certa eleganza. Lo sguardo dell’uomo si posò su tutti i particolari che era in grado di scorgere, e quelli celati alla sua vista li riusciva a vedere nella sua immaginazione, limpidi e cristallini come la goccia che correva lungo la bottiglia d’acqua che il cameriere aveva posato sul tavolino al quale sedeva la donna.
Lei, la dolce amante che ancora non conosceva il suo innamorato, sorseggiava il thè che l’era appena stato porto dal cordiale cameriere, un ragazzo di primo pelo che l’approcciava con fare ardito. Lei non pareva seccata dalle sue attenzioni, anche se preferiva godersi la buona colazione con tranquillità e per questo lo congedò in modo cordiale. L’uomo assistendo a tutta la scena capì che lei voleva nient’altri che lui, già sapeva che il loro amore sarebbe stato eterno.
La giovine consumò la squisita colazione con molta calma, ammirando lo splendido paesaggio che le si presentava dinnanzi. Gli occhi le brillavano di una luce armoniosa, lo spettacolo a cui stava assistendo quella mattina le garbava tanto da voler restare per sempre, ma le gambe che teneva incrociate tremavano dal desiderio di muoversi, di percorre quello stupefacente panorama per viverlo, non solo per ammirarlo. Si alzò dal tavolino, lasciando una generosa mancia per la cordialità del personale e soprattutto per la bellezza che quel minuscolo locale donava. Iniziò a camminare lungo il sentiero che portava nel parco.
L’uomo seduto ad una caffetteria di fronte, una bettola che serviva caffè acido e pessima compagnia, si levò dalla scomoda e traballante sedia e gettò qualche spicciolo sul tavolo logorato dai tarli per precipitarsi a seguire quella dolce creatura. S’addentrò nel parco mantenendo le distanze, per non interferire con lo splendore che la donna emanava, una candida aura di giovinezza che lui avrebbe senza dubbio intaccato col suo putrido aroma di triste pateticità. Rimase dietro lei di un centinaio di passi, la scrutava mentre lei con fare leggero danzava lungo il viale, accendendo un sorriso nei viandanti che passavano di là. Lui sentiva che lei era la ragazza giusta, l’unica della sua vita, il pezzo mancante che avrebbe colmato il suo vuoto interiore.
La donna camminava con passo ritmato e l’uomo n’era completamente assorbito, oramai seguiva incantato il suono che i tacchi della giovane ragazza generavano a contatto col suolo, un’armoniosa melodia che gli riecheggiava nella testa, che lo rilassavano in maniera ipnotica. Passeggiarono per ore.
Era giunta sera quando l’uomo si ridestò dall’incantesimo e si accorse di trovarsi in una parte della città che non aveva mai visitato. Le luci dei lampioni brillavano attorno a lui imprimendo sui muri ombre che ritraevano angeli danzanti. Si trovava sotto casa della dolce fanciulla, non aveva percepito il tempo scorrere attorno a lui, era rimasto intrappolato in quel sogno che la giovane desiderava lui vedesse, il mondo che lei gli avrebbe costruito.
Rimase fermo ad aspettare, ad attendere all’uscio che la donna lo chiamasse, e che lo invitasse ad entrare. Era notte fonda quando udì la voce di quella meravigliosa creatura risuonargli nella testa, una voce così soave che non aveva mai udito prima d’allora. Quella voce lo intimava ad entrare, ad accomodarsi nel suo letto e a cogliere il fiore che solo a lui apparteneva.
Un leggero tocco muoveva i capelli della donna, una carezza delicata carica dell’amore che l’uomo provava. Lui era pronto a donarsi a lei, e sapeva che ella ricambiava. La voce lo aveva detto. Era disteso accanto a lei e il suo respiro si faceva piano piano più intenso, più lussurioso. Si alzò lungo un fianco per poter vedere le sue sembianze, per poterla ammirare. Pervaso dalla passione la afferrò e le salì sopra.
La donna si svegliò di soprassalto, stordita e disorientata non sapeva se dimenarsi e cercare di scappare, oppure urlare. Cercò di gridare, ma la paura l’aveva soffocata. Era inerme, impotente. L’uomo la violò selvaggiamente, credendo ancora alla fantasia che nella sua mente si era costruita. I sospiri e gemiti che credeva di percepire erano invece urla strazianti che faticavano ad uscire dalla gola della donna, l’espressione di piacere era invece un volto in preda allo sgomento, il corpo della dolce creatura si agitava non per partecipazione e trasporto, ma nel tentativo di liberarsi da una violenza carnale che la vedeva come vittima.
Al culmine dell’atto l’uomo si risvegliò dalla trans che ancora una volta lo aveva inghiottito, e vide il volto della donna dilaniato dallo strazio e dalla vergogna. Voleva rimediare, doveva rimediare. Calcò le sue possenti mani sul fragile collo di quella povera creatura e premette con tutta la sua forza. Sentiva la sua candida anima abbandonare il corpo, regalandole la fine di ogni dolore, il cessare di tutte le sofferenze che avrebbe provato.
Lei era sua, e di nessun altro. Ce n’erano state altre, ma lei sarebbe stata l’unica. Per sempre.
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interesante y la vez muy triste ,suele suceder ,saludo.